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Galiani passa attraverso la religione, prima, e le religioni poi, e ne assaggia il rapporto con la materia, presupposto per accostarsi all'arte. Spiega iconoclasmo e iconodulia, sospetto e rispetto per l'immagine, perché rifugga dall'idolatria della materia e sia comunicazione misterica con l'"oltre". Ciò è molto utile, perché per millenni, religione e arte si implicavano a vicenda, non perché l'autore, e molto meno l'osservatore, dovesse essere un praticante, ma perché la società, che "consegnava" i simboli da raffigurare, era impregnata di una sensibilità e di un ethos religioso. L'autore si chiede come, di fronte alla coscienza della molteplicità delle culture e delle religioni - compresa la non-religione - vi possa essere fruizione piena e trasversale di quanto emerso da un ambiente connotato e particolare. Nasce dunque il rapporto tra l'oggettivo della rappresentazione e gli infiniti soggettivi degli occhi che la osservano. Galiani cerca un prisma che consenta un approccio fruitivo ed empatico anche al "diverso" e teorizza che tale approccio si compia solo se avviene una riappropriazione personale, una decodificazione riuscita, rispetto all'oggettivo che ha dettato l'opera.